Come trasformare l’incertezza del presente in un’opportunità superando il ruolo di vittima?
Vi è mai capitato di sentirvi vittima del destino, sentire che il fato e la realtà vi sono avversi?
Il grande timore del presente, la paura dell’ignoto, dell’imponderabilità della vita, spesso immobilizza, spogliando la persona del ruolo di autore-attore che le spetta. La precarietà del lavoro, delle relazioni personali, possono far scivolare nel caos e cercare una direzione, a volte, sembra un’impresa impossibile.
Su come trasformare l’incertezza del presente in un’opportunità abbiamo interrogato Angelo Ricci, formatore, blogger di successo, ideatore di “Sognatori Svegli” e cantautore, un professionista capace di leggere la poesia nella quotidianità e di trasformare una passione in professione, anche lui ospite e relatore del grande evento di formazione “CREA LA VITA CHE VUOI“, il 2 e 3 dicembre ospitato da Parc Hotel Paradiso & Golf Resort di Peschiera del Garda.
La trappola del caos genera vittimismo.
La trappola nella quale spesso si cade è quella di voler fuggire subito e a tutti i costi dall’incertezza e dalla confusione. Con questo atteggiamento ci si nega la possibilità di comprendere quali messaggi e quali risorse si possono scoprire di sé stessi, all’interno di uno stato di caos.
Quando ci si trova in una situazione dalla quale sembra difficile uscire, è importante comprendere che la confusione non è soltanto un elemento negativo o un problema da risolvere ma un’opportunità per la mente di individuare nuove soluzioni, a patto di accettare che anche il caos sia utile.
Ecco cosa evitare:
- Affannarsi nella ricerca di soluzioni o di un ordine immediato può rivelarsi un tentativo che aumenta la confusione piuttosto che risolverla.
- Tuttavia ccettare la confusione non vuol dire “stallo”. Quando, per esempio, i creativi si trovano davanti a una tela, una pagina bianca o davanti a un qualunque stimolo che possa ispirarli, a un certo punto cominciano a dipingere, a scrivere, a operare sulla creatura. Titubare a lungo in cerca del tratto perfetto o della frase indimenticabile li metterebbe nella condizione di non agire mai.
Cosa fare dunque?
- Il piano perfetto prevede l’azione. Considerarsi artigiano della propria vita e non vittima è l’unica via per diventare veri artisti e questo implica sporcarsi le mani ogni giorno e procedere per tentativi
Ma nei periodi bui che tutti si trovano ad affrontare ci si sente spesso senza energie e capacità, quasi vittima sacrificale di un destino su cui non siamo in grado di incidere. E allora come fare a superare l’empasse?
Ecco i 3 consigli di Angelo Ricci per abbandonare il ruolo di vittima e gestire al meglio i periodi di incertezza, trovando la soluzione giusta per sé.
- È importante comprendere che il ruolo di vittima, è, appunto, un ruolo che abbiamo imparato a interpretare perché spesso porta dei vantaggi a chi lo interpreta. Dunque, il primo passo da compiere è identificare i vantaggi che questa dinamica porta all’interno dei nostri contesti. Credere di essere vittime del contesto, convincersi di essere sfortunati, di non avere le qualità, il tempo, le competenze per agire, ci mette nella condizione di non affrontare le paure, procrastinandola resa dei conti con sé stessi.
- In secondo luogo, è utile sapere che siamo quello che raccontiamo di noi stessi. Se nella nostra vita ci siamo sempre raccontati come vittime, è altrettanto possibile raccontarsi in altri modi, ampliare la nostra narrazione e scoprire che, in fondo, in altre occasioni, abbiamo quasi certamente interpretato altri ruoli, raggiunto piccoli o grandi obiettivi oppure affrontato cambiamenti di cui avevamo paura. È fondamentale, quando si parla agli altri o con sé stessi, far caso alle parole che si utilizzano e ai contenuti che si narrano, perché si è molto di più di ciò che si lascia credere o che ci si convince di essere
- Attenzione alla trappola delle soluzioni giuste o della strada giusta per sé stessi. Più che nelle soluzioni giuste io credo nelle cose che funzionano e nei tentativi che facciamo per farle funzionare. Nel parlare di cambiamento o di creare una vita più a nostra immagine è necessario valutare non solo gli aspetti pratici, le cose che si possono toccare con mano o concentrarsi esclusivamente sull’aspetto economico di una decisione.Quando le cose funzionano nella vita è perché ci si sente appagati anche da un punto di vista emotivo, in quella sfera in cui subentrano la mente, il cuore e la pancia. Le cose che funzionano sono il frutto di tentativi non riusciti che alla fine abbiamo messo a punto. Ecco perché mi piace poco parlare di fallimenti e preferisco parlare di tentativi di felicità.
Ma a un cercatore di sogni come Ricci non si poteva non chiedere come scoprire dov’è nascosto il proprio sogno…
Quando ci poniamo questa domanda il rischio è quello di guardare esclusivamente dentro noi stessi o nel passato. E se ce la poniamo è evidente che ancora non abbiamo scoperto quale possa essere il nostro grande sogno. Per uscire dall’empasse, ancora una volta, è necessario agire, lasciarsi contaminare da altri stimoli, da altre persone e da altre storie. Magari scopriremo che i semi di un nostro possibile sogno erano già in noi ma avevano bisogno di essere coltivati con qualcosa che era fuori di noi, da esperienze in cui non ci eravamo mai immersi.
Non è detto che ognuno di noi debba avere una passione travolgente per qualcosa o sentire arrivare una chiamata forte e irresistibile da qualche parte. Forse non è ancora tempo di maturare questa condizione e forse non lo sarà mai, chi lo può sapere. Ma questo non deve essere motivo per restare fermi, per non metterci in cammino alla ricerca di noi stessi.
Durante la due giorni di Crea la vita che vuoi Angelo Ricci affronterà il tema: “Il sogno, la paura e i paracadutisti” (www.sognatorisvegli.com). Il suo appello è quello di aprirsi e abbracciare tutte le storie possibili con cui si può entrare in contatto. Perché un evento di formazione si trasformi in occasione di acquisizione di competenza e conoscenza ma anche di ascolto, lasciandosi contaminare da altri stimoli e da altre persone. Perché le storie possano esercitare il potere di sedimentare nel profondo informazioni e ispirazioni, amplificando le possibilità di risposta agli ostacoli della vita, potenziando la capacità di resilienza.
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